Quando si parla di artrosi dell’anca o coxartrosi, comunemente si fa riferimento a un processo degenerativo cartilagineo dell’articolazione tra la testa del femore e l’acetabolo del bacino, legato all’età avanzata dei pazienti che ne sono affetti (coxartrosi primitiva).
Sempre più frequentemente, però, questa patologia colpisce anche giovani o adulti in una fascia d’età relativamente precoce: in questo caso, si parla spesso di coxartrosi secondaria, ossia correlata a traumi (esiti di fratture), malformazioni congenite (anca displasica, coxa vara o valga), patologie pediatriche (malattia di Perthes, epifisiolisi), dell’accrescimento (conflitto femoro-acetabolare), patologie artritiche o metaboliche (artrite reumatoide, necrosi avascolare della testa del femore), tutte situazioni che provocano un’usura prematura della cartilagine dell’articolazione coxo-femorale.
Tra queste, una delle condizioni potenzialmente più gravi è rappresentata dalla displasia congenita dell’anca, che si manifesta sin dai primi mesi di vita (con un’incidenza di 2 neonati su 100 e una netta prevalenza nelle femmine) e la cui diagnosi precoce tramite una semplice ecografia delle anche nei primi due mesi di età, risulta di vitale importanza. Questa patologia comporta un’alterazione della conformazione e dell’orientamento acetabolare che risulta poco coprente (cosiddetto “tetto sfuggente”) e, di conseguenza, dei rapporti tra testa del femore e acetabolo del bacino.
La displasia comprende quadri patologici molto differenti, dalla semplice displasia acetabolare fino alla sublussazione e alla lussazione dell’anca vera e propria. Se non viene correttamente diagnosticata e opportunamente trattata in età infantile (di solito utilizzando un apposito divaricatore in flessione e apertura delle gambe o, eventualmente nei casi più gravi, con interventi chirurgici correttivi), nel corso della crescita ossea può indurre un’usura precoce e aggressiva della cartilagine. Le deformità che ne derivano possono provocare rigidità, soprattutto nel movimento di flessione e rotazione esterna, dolore nelle comuni attività quotidiane, differenza di lunghezza degli arti (eterometrie) e zoppia.
In molti pazienti giovani displasici si cerca di conservare e preservare l’articolazione con opportuni trattamenti fisioterapici, riducendo il sovrappeso e con un’adeguata attività fisica, mirata a rinforzare la muscolatura di quadricipite e glutei. Alcune volte è opportuno porvi rimedio tramite tecniche chirurgiche che ripristinano la congruenza articolare (osteotomia o tettoplastica acetabolare, osteotomia derotativa femorale).
Nella maggior parte dei casi, però, quando l’artrosi è ormai conclamata e il dolore incide irreversibilmente sulla qualità della vita e sulla funzionalità articolare, è indicata la sostituzione protesica dell’anca per via anteriore mininvasiva, esattamente come nei pazienti affetti da coxartrosi primitiva. Sono l’abilità e l’esperienza del chirurgo ortopedico ad indirizzare nella tempistica dell’intervento, nel tipo di via d’accesso da eseguire, nei materiali da utilizzare nell’accoppiamento articolare (ceramica, polietilene, doppia mobilità, etc) e nella scelta del design dell’impianto protesico.
Sotto, le immagini radiografiche di una displasia congenita dell’anca bilaterale prima (sinistra) e dopo (destra) l’intervento di sostituzione protesica dell’articolazione