Quando un paziente in condizione di obesità, ovvero con il rapporto tra peso e altezza (l’indice di massa corporea) superiore a 30, è affetto da coxartrosi, l’impianto di una protesi d’anca diventa spesso una necessità. Bisogna tuttavia ampiamente sottolineare come questo tipo di paziente abbia un rischio 4-5 volte superiore a quello di un soggetto normopeso di sviluppare possibili e spesso temibili, complicanze peri-operatorie, sia di tipo cardiocircolatorio e respiratorio, che di infezione e di lussazione dell’impianto protesico.
Spesso però ci si trova di fronte a pazienti obesi tra i 40 e i 50 anni che a causa dell’artrosi dell’anca si trovano in una condizione di dolore ingravescente e di grave limitazione funzionale che li porta a uno stato di totale sedentarietà, nei casi più gravi addirittura all’allettamento, instaurando così un circolo vizioso destinato ad aumentare esponenzialmente il peso corporeo. L’intervento di sostituzione protesica dell’anca consente, quindi, di eliminare la sintomatologia dolorosa e di recuperare il movimento, con l’obiettivo finale di ottenere perdita di peso grazie ad una dieta adeguata e di migliorare in maniera evidente la qualità di vita.
L’approccio terapeutico è multidisciplinare e prevede il coinvolgimento oltre alla figura dell’ortopedico anche di altri specialisti, tra cui anestesista, cardiologo, endocrinologo, psicologo, nutrizionista e fisiatra. Innanzitutto è essenziale correggere tutti gli squilibri metabolici, in particolare il diabete ed eventuali disfunzioni della tiroide. Uno studio dettagliato della funzionalità cardiovascolare con una terapia eparinica adeguata e la tendenza comune ad eseguire questo tipo di interventi in anestesia spinale, riducono potenziali complicanze circolatorie (come trombosi venosa profonda e tromboflebiti) ed infettive del sito chirurgico.
La chirurgia protesica di anca nel paziente obeso è molto complessa e deve essere guidata da mani esperte, a partire dalla scelta dell’approccio chirurgico che dovrebbe tenere in considerazione la conformazione fisica di questi soggetti. A mio giudizio la via d’accesso anteriore mininvasiva, rispetto alle vie tradizionali laterale o postero-laterale, consente di raggiungere l’articolazione in modo più agevole sfruttando uno spazio sia intermuscolare che internervoso a causa della minore quantità e del ridotto spessore di tessuto adiposo nella regione anteriore della coscia rispetto a quella glutea. Le ridotte perdite ematiche e il risparmio delle inserzioni muscolo-tendinee, prevenendo i fenomeni di necrosi e denervazione delle fibre muscolari, permettono poi di ridurre il rischio di infezioni. La posizione supina sul tavolo operatorio, oltre a vantaggi dal punto di vista anestesiologico, consente di sfruttare il controllo fluoroscopico intraoperatorio per visualizzare il corretto posizionamento delle componenti protesiche definitive.
Per quanto riguarda il tipo di protesi, la scelta si indirizza frequentemente su modelli in grado di aumentare la stabilità articolare come le protesi a doppia mobilità o, comunque, prediligendo accoppiamenti testina-inserto in ceramica–polietilene piuttosto che ceramica-ceramica che presentano rischi di rottura o squeaking (rumore articolare). È opinione comune cercare di evitare design di protesi d’anca cosiddette “modulari”, poiché queste ultime presentano alcuni punti di minor resistenza come la giunzione testa-collo, che le rendono potenzialmente “più fragili” rispetto alle protesi monoblocco.
Nella fase riabilitativa anche per il paziente obeso sottoposto ad intervento di protesi d’anca è prevista una mobilizzazione precoce il primo giorno dopo l’intervento; il programma di lavoro personalizzato con il fisioterapista porta ad un carico immediato e ad una deambulazione assistita fino ad arrivare al momento della dimissione, in assenza di complicazioni, a camminare e a fare le scale in maniera autonoma con appoggi.